«L’OPERA POETICA» DI GIOVANNI RABONI

di Luca Daino

Giovanni Raboni si è trovato spesso al centro di quanto è avvenuto nel mondo letterario italiano nel corso dell’ultimo cinquantennio: dagli interventi su «Questo e altro», la rivista di Vittorio Sereni e Dante Isella, alle celebri versioni di Proust, Baudelaire e Racine (ma l’elenco potrebbe essere assai più ricco), dalla produzione poetica in proprio al lavoro giornalistico ed editoriale (non si contano – eppure urgerebbe farlo – le sue curatele, le prefazioni, le quarte di copertina…), dalle opere per il teatro all’attività di saggista e critico letterario. Quest’ultima, che fa di Raboni uno dei più sensibili lettori di poesia degli ultimi decenni (Pier Vincenzo Mengaldo, nel ’78, ha osservato che «nella generazione di chi scrive, il critico militante più acuto di poesia è probabilmente il poeta Raboni»1), è stata abbondantemente antologizzata nel volume curato da Andrea Cortellessa, che ha firmato anche l’ottima postfazione2. Ma il più prestigioso riconoscimento riservato a Raboni dall’editoria, nel settembre del 2006, in occasione del secondo anniversario della morte dello scrittore, è costituito dall’uscita del Meridiano dedicato alla sua Opera poetica: così recita il titolo del volume a cura e con un’introduzione di Rodolfo Zucco e uno scritto di Andrea Zanzotto.
La poesia che si fa e il volume mondadoriano rappresentano le antologie più ampie in circolazione dell’opera di Raboni. Ma i due testi sono legati anche da una più sottile contiguità, data dal fatto che entrambi si ubicano a metà strada tra il libro d’autore e il libro, per così dire, del curatore: se è vero che Raboni non ha potuto seguire fino alla fine il lavoro di Zucco e di Cortellessa, è vero pure che è intervenuto in modo cospicuo nella fase di progettazione delle due opere. In questo senso è sintomatico che entrambi i giovani critici abbiano premesso ai volumi una sorta di cronistoria del lavoro svolto gomito a gomito con l’autore3.
Tale collaborazione è stata particolarmente viva e proficua nell’allestimento del Meridiano. Vediamo allora qual è l’indice, stilato di comune accordo dall’autore e dal curatore, di questa voluminosa summa della scrittura raboniana. Non abbiamo tra le mani un Meridiano impostato in modo rigorosamente tradizionale, cioè concepito affinché raccolga, nella maniera più completa possibile, tutte le opere di un autore appartenenti ad un medesimo genere o, più approssimativamente, ad un medesimo ambito – ad esempio quello artistico, distinto da quello critico e saggistico. Raboni è poeta, scrittore di racconti e testi teatrali, traduttore e critico. Ma non è Pasolini, a cui il mercato editoriale ha concesso ben dieci volumi, suddivisi appunto per generi, della prestigiosa collana mondadoriana. Il Meridiano raboniano, il cui titolo, ingegnoso e assai azzeccato, è Opera poetica, si presenta invece come un libro vario e stratificato; un libro «centrato – per dirla con le parole del curatore – sull’opera in versi ma aperto a prove nei diversi generi di scrittura che Raboni aveva praticato» (p. CXLVI). Vi troviamo, infatti, tutte le raccolte poetiche canoniche (da Gesta romanorum a Ultimi versi, oltre a una quindicina di testi dispersi e a un inedito), tutto il teatro in versi (Rappresentazione della Croce e Alcesti o la recita dell’esilio), un esempio eccellente di indagine critica centrata su testi poetici (La poesia degli anni Sessanta), alcune traduzioni in versi (Antigone di Sofocle e Ventagli e altre imitazioni), una raccolta di interventi giornalistici (Devozioni perverse) e un libro di racconti (La fossa del cherubino). Un florilegio, dunque, e non tanto – o non solo – una raccolta ordinata e completa di testi raboniani appartenenti ad un unico ambito; una silloge dove, tra l’altro, viene concesso troppo poco spazio ai saggi di critica letteraria, dei quali è proposto un unico esemplare, anche se di livello straordinario, come La poesia degli anni Sessanta. E proprio tale inserimento sembra implicitamente suggerire che la collana mondadoriana non riserverà all’opera saggistica di Raboni un apposito volume.
Ma, naturalmente, l’allestimento del libro non è stato dettato da meri limiti imposti dall’editoria: nel Meridiano, che consta di quasi duemila pagine, si trova fedelmente rispecchiato quel sovrapporsi dei piani espressivi così tipico della produzione raboniana. Accantonata l’idea iniziale di ordinare le opere per generi4, ben presto l’autore e il curatore hanno optato per organizzare le opere del volume in ordine cronologico: il lettore, dunque, trova affiancati e quasi intrecciati i racconti in prosa e le opere in versi, finendo così per toccare con mano una delle prerogative essenziali del lavoro di Raboni, e cioè, secondo le parole di Zucco, la «fondamentale, costitutiva idea di non-separatezza di “poesia” e “prosa”» (p. CXLV).
Un altro tratto peculiare dell’organizzazione interna di questo Meridiano consiste nella presenza della versione integrale di A tanto caro sangue, l’autoantologia poetica del 1988, solo parzialmente riprodotta nei due precedenti volumi garzantiani che raccoglievano l’intera produzione poetica di Raboni5. Il Meridiano in questo modo suggerisce come A tanto caro sangue costituisca un libro nuovo e autonomo, e non un semplice compendio dei libri precedenti: non a caso Zucco, nella sua introduzione, lo definisce «un libro capitale» (p. XLVIII). Considerato irrinunciabile l’inserimento di A tanto caro sangue, sia pure fianco dei libri poetici poi lì confluiti, diventava imprescindibile evitare «ripetizioni pure e semplici di singole poesie», come scrive l’autore stesso in una lettera a Zucco (p. CXLVI). A questo scopo Raboni ha deciso di fornire nel Meridiano le versioni originali delle raccolte anteriori al 1988, spesso non poco divergenti da quelle poi inserite nell’autoantologia (dove Raboni aveva quasi sempre accolto le correzioni via via apportate alle liriche nel corso delle varie edizioni dei singoli libri, oltre ad introdurre ex novo numerose altre modifiche).
Il fatto che siano da attribuire a Raboni alcune responsabilità fondamentali nella messa a punto del volume mostra come quest’opera non vada considerata unicamente il frutto di una mediazione critica postuma, secondo la consuetudine dei Meridiani, ma anche una nuova opera di Raboni: una sorta di testamento intellettuale, quasi un’autobiografia attraverso le opere. Come afferma ancora Zucco nell’introduzione, «Giovanni Raboni immaginava questo volume come un libro organico, unitario» (p. XXI). Si potrebbe insomma dire di questo Meridiano ciò che lo stesso Raboni diceva di A tanto caro sangue, e cioè che si propone come «un nuovo libro che sia anche, nello stesso tempo, il mio ultimo e il mio unico libro».
Veniamo ora agli apparati. Nella rigorosa ricostruzione delle vicende biografiche raboniane presentate nella Cronologia (pp. LXV-CXLIV) Zucco ricorre ampiamente alle dichiarazioni rilasciate da Raboni (vengono tra l’altro indicati gli estremi bibliografici di tutte le interveste raboniane), alternandole alle testimonianze di amici, familiari e colleghi – tra gli altri, Bianco Bottero, Serena Vitale, Patrizia Valduga, Maurizio Cucchi, Giancarlo Majorino, Cesare Viviani, Ada De Alessandri Cattafi6. Questa ampia serie di dichiarazioni inedite fornisce informazioni preziose anche sul variegato lavoro intellettuale di Raboni, intorno al quale possedevamo solo indicazioni sparse. La Cronologia abbozza cioè un primo profilo di una vastissima attività pubblicistica ed editoriale, ancora tutta da valutare nelle sua reale portata, ma che tuttavia si va già delineando come centrale all’interno del mondo letterario italiano della seconda metà del Ventesimo secolo.
Ma è l’apparato critico il momento forte di questo Meridiano: quasi cinquecento pagine in cui la ricerca storico-filologica si accompagna alle puntuali analisi critiche. Le descrizioni bibliografiche e il regesto delle varianti ricostruiscono minuziosamente l’evoluzione e il destino di ogni singola poesia, anche di quelle apparse solo in rivista o nelle plaquettes. L’apparato di commento comprende, per ogni singola lirica, le glosse che Raboni ha fornito nel corso delle interviste (arricchite da materiale d’autore inedito appositamente reperito), le frequentissime annotazioni del curatore e, infine, alcuni passi scelti dalla bibliografia critica. Introducono il volume i due scritti di Zucco e di Zanzotto. Quello del curatore fornisce un ritratto a tutto tondo del Raboni poeta: Zucco passa dettagliatamente in rassegna le prerogative fondamentali della lirica raboniana, non senza proporre sintesi interpretative originali. Particolarmente significativa è l’indagine condotta in ambito lessicale, che individua nella «difformità» e nella «discontinuità» il fulcro della lingua e della semantica raboniane. Densissime, come sempre, le pagine di Zanzotto; straordinarie, in particolare, quelle sul recupero tortuoso e obliquo che Raboni compie del sonetto. Qui l’acuta lettura critica sconfina nella descrizione fascinosamente allucinata andando a costituire una delle pagine più pregnanti e suggestive che siano mai state scritte sulla poesia di Giovanni Raboni.

1P.V. MENGALDO, Introduzione a Poeti del Novecento, Mondadori, Milano 1978, p. XXXII.
2G. RABONI, La poesia che si fa. Cronaca e storia del Novecento poetico italiano 1959-2004, a cura di A. Cortellessa, Garzanti, Milano 2005.
3G. RABONI, Quella di Cortellessa è intitolata Nota al testo (pp. I-VII) e quella di Zucco Nota all’edizione (pp. CXLV-CL).
4Come ha spiegato Zucco, la prima «bozza che spedivo a Raboni […] distribuiva i libri in cinque sezioni distinte: Poesie, Traduzioni, Teatro, Prose narrative, Prose critiche» (p. CXLVI).
5G. RABONI, Tutte le poesie (1951-1993), Garzanti, Milano 1997 e ID., Tutte le poesie (1951-1998), Garzanti, Milano 2000.
6Nel novembre del 2006 Patrizia Valduga ha raccolto e montato in una suggestiva sequenza numerose dichiarazioni di Raboni, dando forma ad un intenso Autoritratto (G. Raboni, Autoritratto, a cura di P. Valduga, in Almanacco dello specchio, a cura di M. Cucchi e A. Riccardi, Mondadori, Milano 2006, pp. 167-86).

«L’ospite ingrato», 2008