Provocatorio fin dal titolo, I grandi scrittori? Tutti di destra è un articolo che Giovanni Raboni (non proprio un reazionario…) scrisse sul Corriere della Sera del 27 marzo 2002, sfatando uno dei più usurati luoghi comuni dei salotti culturali, ossia che tutti gli intellettuali siano più o meno strettamente “di sinistra”. Se ci si rivolge «a quanto è successo durante gli ultimi cento anni in ambito mondiale», sostiene Raboni, si constata invece facilmente come «moltissimi tra i protagonisti o quanto meno tra le figure di maggior rilievo della letteratura del ’900 siano collegabili a una delle diverse culture di destra».

Tra i nomi (molti anche italiani), i suoi amati Céline e Pound… L’articolo di Raboni, che dice molto sia sulla cultura del ‘900 (che nelle sue punte più alte è essenzialmente non di sinistra) sia sull’approccio ideologico di un mondo che ha preferito l’egemonia alla qualità e il consenso alla libera creatività, scatenò reazioni che si susseguirono per settimane sui giornali con interventi in difesa o contro le parole del poeta milanese. A vent’anni di distanza il testo di Raboni non ha perso la sua lucidità e la carica polemica, soprattutto se si constata come poco o nulla sia cambiato, in termini di (pre)giudizi, nel mondo culturale italiano.

Sapevamo poco degli esordi di Giovanni Raboni. I primi passi del poeta, già alquanto maturi e ‘a fuoco’, vengono finalmente ricostruiti grazie al ritrovamento e all’analisi di due raccolte risalenti ai primi anni Cinquanta, rimaste inedite. Muovendo da qui l’indagine si rivolge alla scrittura poetica raboniana del trentennio 1950-1980, i cui modelli letterari e i presupposti intellettuali sono riconosciuti, rispettivamente, nel modernismo europeo (Pound, Eliot, Rilke, Auden, insieme al “capostipite” Baudelaire) e nella fenomenologia husserliana, recepita grazie alla mediazione di Enzo Paci.

Dell’approccio fenomenologico è messo in luce il ruolo fondativo anche nello sterminato lavoro critico raboniano. Nel corso degli anni Ottanta, l’accelerazione consumista dell’epoca cosiddetta postmoderna ha irrigidito Raboni in posture di resistenza: anche di queste vengono decifrati i robusti effetti nei suoi versi e nelle sue perlustrazioni critiche.

Meglio star zitti? raccoglie centosettanta stroncature firmate da Giovanni Raboni in quarant’anni di attività critica: interventi talvolta garbati, più spesso sarcastici e addirittura spietati, tesi a mettere in discussione il valore e il significato di prodotti artistici (romanzi, poesie, film, spettacoli teatrali) e di fenomeni di costume.

Ne fanno le spese nomi blasonati: Woody Allen, Italo Calvino, Umberto Eco, Federico Fellini, Dario Fo, Giorgio Gaber, Ernest Hemingway, Milan Kundera, Pier Paolo Pasolini e tanti altri. Inflessibile nella difesa della qualità, Raboni condanna la deriva consumista della produzione culturale italiana del dopoguerra, rivendicando la responsabilità primaria del critico militante: essere per il pubblico una guida attendibile e onesta, chiamata a distinguere il “vero” dal “falso”. Compito che va sempre più assumendo i toni di una solitaria e disperata sfida etica.